Teatro, arte e potere

sceptre_and_orb_and_imperial_crown_of_austria«Oh, aver qui una Musa di fuoco che sapesse salire al più luminoso cielo dell’invenzione; un regno che servisse da palcoscenico, principi che facessero da attori e monarchi da spettatori di questa scena grandiosa! […] Ma scusateci: come uno sgorbio di cifre serve in breve spazio a rappresentare un milione, così lasciate che noi, semplici zeri in questo gran conto, mettiamo in moto le forze della vostra immaginazione»[1].

Il sipario si alza e il potere va in scena.

ingres_napoleon_on_his_imperial_throneNon è eccessivo, immaginare il re, l’imperatore che si vestono di tutto punto col manto regale, la corona e lo scettro, oppure immaginarsi il papa che veste i paramenti sacri, la tiara e il pastorale per poi assumere un’espressione che dia un’immagine di sé distaccata e altera.

A ben vedere, è proprio questo che i rappresentanti del potere hanno sempre fatto, che il palco fosse il salone di un castello o un altare.

La teatralità dei gesti e dei simboli assume un significato importante in quanto non è, almeno nella coscienza popolare, mero cerimoniale. Per esempio, l’atto d’unzione dei re non è semplice rappresentazione ad effetto ma consacrazione del prescelto.

Il popolo riconosce certi simboli di uso comune, simboli che richiamano alla mente modelli e ideali specifici ma che allo stesso tempo, forse a livello subliminale, provocano reazioni profonde. Si tratta forse di conoscenze ancestrali  nascoste che davanti al potente suscitano emozioni che inducono al rispetto, alla devozione e all’omaggio? tiara

Il potere esige dunque una rappresentazione ed è per questo motivo che si rendono necessarie le scenografie e i fondali, le luci e gli oggetti di scena. Da tutto ciò è facile arguire come l’arte, indipendentemente dal mezzo espressivo, sia il più profondo interprete del dramma del potere. All’arte spetta infatti il ruolo fondamentale e insostituibile di rappresentare i miti, le credenze, la forza e il potere dell’uomo, a maggior ragione se quest’ultimo è un papa, un principe o un imperatore.

Ci si potrebbe chiedere se le immagini dei sovrani medioevali che sono giunte sino a noi, siano somiglianti all’originale, ma non è questo quel che ci interessa; esse sono importanti in quanto sono la rappresentazione del potere così come era concepita in quel periodo.

Proprio tramite queste immagini si cercava di «rendere evidente quale fosse il rapporto fra il sovrano, Cristo e i santi, in che termini fosse da intendere la cooperazione fra potere temporale e potere ecclesiastico, quale fosse l’atteggiamento del sovrano rispetto ai suoi grandi, ai suoi cavalieri, ai suoi semplici sudditi»[2].

Il potere ha dunque bisogno di esibirsi e di essere esibito, i messaggi di forza e potenza ad esso legati sono trasmessi tramite i documenti, i castelli, gli affreschi le miniature, le torri, ogni cosa parla del sovrano, ogni cosa contribuisce a manifestarne la volontà.

Il sovrano è consapevole di questa messa in scena e la sua «volontà di essere presente e visibile ovunque nel regno trova nelle parole di Federico II una persuasiva conferma»[3]. Egli infatti, dopo aver ordinato di coniare gli augustali dichiara: «ut frequens ipsius nove monete inspectio eos in fide et devotione nostra magis ac magis corroboret et accendat»[4]. augustale_federico_ii

Nel teatro ogni cosa, ogni telo, ogni costume in linea di principio si riutilizza; il vecchio viene mischiato al nuovo, ciò che è consunto ripristinato e tutto contribuisce a ricreare la magia della rappresentazione. Anche l’arte rappresenta. E anche l’arte riutilizza.

Azzardiamo un parallelo. La scenografia cerca di rendere l’idea dell’ambiente in cui il dramma verrà svolto; i costumi e gli oggetti di scena suggeriscono il carattere e la posizione sociale del personaggio, tutto è presentato in modo da sottintendere o, comunque, da rendere completamente intelligibili i significati dell’opera al pubblico che ne deve cogliere i simboli.

L’artista lavora come il regista, egli infatti prepara lo sfondo, decide la coreografia, il movimento e la vista d’insieme rimandando spesso a tipologie iconografiche mediate dalla cultura del periodo. Anche se qui, rispetto al teatro, molto di più è sottinteso, di norma si attua quell’identico meccanismo che, tramite l’osservare, scuote l’inconscio, e risveglia ogni più intima emozione a manifestare una spesso inconscia comprensione.

federico-ii-sveviaMa torniamo a Federico II. Una chiaro esempio di quanto finora asserito, ci viene dalla miniatura che lo riproduce in trono circondato dai sui dignitari.

Analizzando l’immagine ci si rende conto come la miniatura potrebbe essere un fotogramma di una rappresentazione teatrale. La scenografia è creata dalle colonne che sorreggono il tendaggio teso a chiudere la parte superiore della scena e a ricordare il telo del sipario; ai lati una specie di greca romboidale rievoca le quinte laterali da cui, in effetti, sembrano uscire i dignitari; in basso un’altra greca, che riprende il motivo a losanghe, fornisce l’elemento di chiusura inferiore quasi come l’alzata del proscenio. Al centro, imponente sul trono è seduto Federico II con in mano i simboli imperiali: lo scettro e il globo.

La tipologia iconografica di questa miniatura riprende quelle degli imperatori precedenti quasi a sottolinearne maggiormente il significato simbolico che deriva da una forma rappresentativa che si ripete nei secoli.

Abbiamo più sopra descritto come il lavoro dell’artista sia simile a quello del regista e, a questo proposito, ci sembra il caso analizzare perché l’immagine di Federico II ci dia quell’impressione così forte di alludere a qualche altra cosa non chiaramente rappresentata.

In realtà la composizione ci è ben nota. Infatti essa ripropone esattamente la tipologia iconografica utilizzata nei secoli precedenti (e in quelli a venire!) sia per il Cristo che per la Vergine in Maestà.

Troviamo questo tipo di composizione fin dai primi secoli del cristianesimo come ci può testimoniare, per esempio, il mosaico absidale, iconograficamente ancora molto classicheggiante, di Santa Prudenziana a Roma.

santaprudenzianaromaQuesto mosaico, pur con intenti diversi, presenta la stessa composizione: Cristo, come l’Imperatore è seduto in trono, ai due lati vi sono dei personaggi e i tetti del loggiato dietro il Cristo, creano la linea di divisione dei due mondi. Il Cristo, a metà fra la parte più bassa e quella più alta, partecipa a entrambi i mondi e ne è il tramite.

Molti sono gli esempi di questa tipologia di rappresentazione.

redentoreravennaapollinarenuovoUn altro esempio potrebbe essere quello dello lo schema compositivo del mosaico del Redentore a Ravenna il quale, in linee generali, presenta un’iconografia molto simile a quella dell’immagine dell’imperatore.  Il Cristo è al centro della scena e siede sul trono, ha una mano alzata in un gesto di benedizione a ricordare la sua potenza, similmente anche Federico siede sul trono al centro dell’immagine ed ha una mano alzata a sorreggere il globo, simbolo del suo potere, il potere imperiale. I quattro  angeli, posti simmetricamente ai due lati del trono di Cristo, possono essere visti come i dignitari della corte divina cui si rifà la corte terrena che infatti è rappresentata, ai lati dell’imperatore, dai più alti dignitari del regno.

maesta_di_simone_martini_siena_palazzo_pubblico_1315-1321Anche le rappresentazioni della Madonna in trono seguono lo stesso schema compositivo qui però, spesso e non a caso, il centro si sposta, o è parimenti occupato dal bambino oltre che dalla Madre. Il Salvatore è tenuto in braccio dalla Madre che in questo modo mostra il suo “potere” proprio come faceva il Cristo con il gesto di benedizione o l’imperatore con il globo e, similmente, anche la Madonna siede su un trono attorniato dai vari dignitari della sua corte: gli angeli e i santi.

Moltissimi altri esempi avvalorano quest’ipotesi, ma sarebbe tedioso farne un elenco; ciò che in questa sede più ci interessa dimostrare è che una rappresentazione dell’imperatore così vicina ai canoni con i quali si è sempre rappresentato Cristo, adulto o in braccio alla Madre, finisce inevitabilmente suggerire una qualche sorta di divinità insita nell’imperatore.

Il potente è scelto da Dio[5], Egli lo protegge poiché gli ha dato il potere[6], le sue leggi sono ispirate da Dio, ma allora l’imperatore come il Cristo è il tramite tra la volontà di Dio e gli uomini e perciò può essere rappresentato secondo le stesse tipologie, seguendo gli stessi canoni.

«Lo Stato federiciano è il prodotto della volontà divina che, creando il principato, offre agli uomini lo strumento della loro redenzione terrena»[7] dunque l’imperatore-Cristo si innalza e viene circondato da quell’aura di divino che non sarà messa in discussione fino alla rivoluzione francese.

 

[1] William Shakespeare, Henry V, atto I, scena I, Prologo.

[2] Percy Ernst Schramm, Il simbolismo dello Stato nella storia del Medioevo, trad. Eugenio Bernardi, in: La storia del diritto nel quadro delle scienze storiche (Atti del 1° congresso internazionale della società italiana di storia del diritto), Firenze, 1966, p.254.

[3] Maria Stella Calò Mariani, L’immagine del sovrano, in: Federico II. Immagine e potere, Marsilio, Bari, Castello Svevo, 1995, p.42.

[4] Ibidem, «Così che, guardandola ripetutamente (la moneta), essa li rafforzi nella fedeltà e li infiammi di devozione».

[5] I Samuele 10, 24 «E Samuele disse a tutta l’assemblea: Mirate chi è colui che il Signore ha Scelto! Non vi è nessuno in tutto il popolo pari a lui. E tutti gridarono: Viva il Re!».

[6] Sapienza 6, 3-4 «…dal Signore vi è dato il potere/ e dall’Altissimo vi è affidata la sovranità:/ egli esaminerà le vostre opere/ e scruterà i vostri disegni».

[7] Antonino de Stefano, L’idea imperiale di Federico II, Vallecchi Editore, Firenze 1927, p.27.

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